giovedì 12 agosto 2010

Il katakana e i gairaigo


Tutti coloro che in qualche modo hanno affrontato lo studio della lingua giapponese sanno che essa è complessa e ricca di sinonimi, e tale complessità è sostenuta dall’utilizzo di kanji diversi per i diversi sinonimi.
Tale ricchezza di vocabolario è data inoltre dai prestiti di lusso, trascritti in katakana secondo un sistema di adattamento fonetico. In realtà capita che questi prestiti arrivino ad avere una particolare connotazione inesprimibile con la controparte giapponese.
Prendiamo l’esempio del giorno di San Valentino. Coloro che in questa ricorrenza sono stati così fortunati da ricevere del cioccolato dalle loro amiche o colleghe dovranno ricambiare la cortesia con piccoli regali nel cosiddetto ホワイトデー (white day) il 14 marzo. White day fa parte delle cosiddette gairaigo 外来語 (parole straniere prese in prestito, spesso dall’inglese, scritte in katakana) ormai utilizzate regolarmente in Giappone. 
Non tutti i gairaigo fortunatamente hanno neutralizzato le loro controparti in kanji. Per esempio, nomi di colori come 赤 (aka, rosso), 青 (ao, blu o verde),白 (shiro, bianco), 黒 (kuro, nero), 緑 (midori, verde), 紫(murasaki, porpora) sono ancora vivi e vegeti nel giapponese scritto. 
In giapponese possono essere identificate tantissime sfumature di rosso, colore che in Giappone simboleggia la buona sorte: nel Paese del Sol Levante il sole è considerato rosso, e non giallo, il che spiega perchè nella bandiera nazionale è presente un grande cerchio rosso. I bambini vengono chiamati 赤ちゃん (akachan) a causa del loro colore rosso al momento della nascita. Insieme a 赤, le altre sfumature di kanji includono 紅 (beni, cremisi), come in 口紅 (kuchibeni, rossetto) e 朱 (shu, vermiglio). 朱色 (shuiro) è il forte colore rosso dei portali dei sacrari shintoisti, i torii 鳥居.
La parola che tradizionalmente indica il colore rosa è 桃色 (momoiro, color pesca), ma ピンク (pinku) è ultimamente molto più utilizzato. L’immagine che ピンク evoca nella mente di un giapponese è la sovrapposizione tra la cuteness di Hello Kitty e l’erotismo dei cosiddetti ピンク映画 (pinku eiga, film rosa), i film giapponesi porno-soft, il tutto condito da un’immagine di ragazza artificiosamente naive.
Nero (黒) e bianco (白) insieme rappresentano i colori del lutto, il che spiega perchè le donne giapponesi indossano perle bianche con i propri ブラックフォーマル burakku fōmaru (abiti neri formali) ai funerali.
Il verde è 緑 (midori / ryoku), e il the giapponese, chiamato お茶 (ocha), è più propriamente classificato come 緑茶 (ryokucha, the verde). 青 (ao), oltre al primo significato di “blu”, può anche significare “verde”, come in 青信号(aoshingou, il semaforo verde) e 青草 (aokusa, erba verde).
Esistono anche parole scritte in katakana che sono di “produzione nazionale”, anche se derivano palesemente da vocabolari stranieri: negli ultimi anni si parla di セクハラ (sekuhara, sexual harassment, le molestie sessuali) e di パラサイトシ・ングル (parasaito shinguru, parasite single, ossia single che vivono in casa dei loro genitori e non lavorano). Chiaramente esistono parole giapponesi per indicare tali concetti. Nel caso delle molestie sessuali, la parola autoctona, sostituita ormai da セクハラ, sarebbe 性的嫌がらせ (seiteki iya garase). Allo stesso modo パラサイト・シングル: il parassitismo è espresso da 寄生 (kisei), mentre le persone non sposate si chiamano 未婚者 (mikonsha). Si tratta di fenomeni rilevanti nella società giapponese contemporanea, che appunto hanno sviluppato dei sinonimi più caratterizzanti, dove il concetto da trasmettere è reso in maniera più forte dai gairaigo.

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